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Il vino ha accompagnato la civilizzazione e la civiltà in tutte le ere. È stato una chiave interpretativa fondamentale dell’evoluzione sociale, il suo specchio. In un certo senso il modo di bere, il gusto del vino, offre una cartina tornasole del grado di consapevolezza, della cultura e del livello tecnico scientifico raggiunti in ogni generazione. Tutto all’interno di un calice.

 

La relazione: dalla terra al cuore

Il vino infatti non è solo una questione di prodotto, ma prima ancora esso è relazione. Poiché nasce in un territorio specifico, da un’annata unica e irripetibile, e attraverso la mano sapiente di uomini e donne che decidono di volta in volta gli interventi che ritengono più adatti in base alla loro personalissima sensibilità. Ma la relazione non si conclude con l’imbottigliamento: essa prosegue con l’affinamento e infine mediante l’incontro del vino con il degustatore e con la sua capacità di “ascoltare” ciò che il calice sussurra.

Una forma d’arte molto suggestiva dunque, che a partire dalla terra e dal lavoro porta con sé un meraviglioso bagaglio di beni immateriali e racconta il genius loci che l’ha creata. Vale certamente la pena equipaggiarsi di questa modalità di comprensione: l’assaggio “relazionale” per poter apprezzare la capacità comunicativa del vino.

 

Una questione di ri-conoscimento

L’approccio alla degustazione non è, invero, molto distante dall’incontro con una persona. Quando conosciamo qualcuno infatti, per prima cosa notiamo le fattezze esteriori le caratteristiche  fisiche che già ci indicano alcune informazioni sulla sua personalità.

Nel vino gli elementi visivi come il colore, la consistenza, le tracce lasciate sulle pareti del calice, sono indicativi di cosa aspettarsi di trovare all’interno. Ma proprio come accade con le persone, è necessario non fermarsi al primo sguardo, esso infatti non offre un quadro esaustivo. È opportuno proseguire la conoscenza.

L’analisi olfattiva permette di comprendere, ad esempio, alcune caratteristiche del percorso evolutivo. Gli odori possono svelare aspetti relativi alla maturazione dell’uva, alla probabile aggressione di funghi, alla fase fermentativa e, infine all’eventuale affinamento e in quale contenitore sia avvenuto. Dall’odore si capisce molto anche sugli individui. Si pensi al tema, ad esempio, delle abitudini igieniche, di quelle alimentari, dei feromoni…

L’olfatto è un senso molto profondo e intimo, forse il più intimo che abbiamo. Le molecole odorose, infatti, non solo attivano il sistema olfattivo, ma raggiungono anche l’ipotalamo, la regione del cervello deputata alle emozioni e ai ricordi. E lo fanno bypassando la corteccia cerebrale, ovverosia il risultato dell’evoluzione del Sapiens, per arrivare direttamente al “cuore”, al ricordo. Il ricordo è nettamente differente dalla memoria, la quale ha a che fare più con la capacità di catalogare e rendere presenti informazioni. In questa distinzione ci viene in aiuto l’etimologia: dal latino, ri-cor/cordis: cuore/corda. Il ricordo fa letteralmente vibrare le corde del cuore, ed è proprio lì che giungono le molecole odorose, l’essenza stessa dell’Altro che da esso si separa per volare fin dentro il nostro intimo più profondo, il cuore (del cervello). Quale meravigliosa realtà!

Infine l’analisi gustativa. Essa svela l’epilogo di un racconto e permette inoltre di verificare la narrazione ricevuta attraverso gli altri sensi. Negli individui, sono i contenuti offerti dalle parole a mostrare, più di ogni cosa, gli aspetti più profondi e intimi della personalità. Similmente il vino svela molto di sé all’assaggio, dalla composizione del suolo che ospita le radici del vitigno al tappo con cui è stata sigillata la bottiglia. Ma il senso del gusto merita un capitolo a sé.

Uno scoop che non dice nulla di nuovo

Come spesso accade, fa più rumore un fatto al negativo che la versione di esso al positivo. Così, in questi giorni è giunto in Italia il ragguaglio del mancato supporto del governo francese ad una discutibile iniziativa, Le défi de Janvier, promossa da una rete di associazioni che si battono contro ogni tipo di dipendenza. Si tratta di sospendere, per il mese di gennaio, ogni forma di assunzione di bevanda alcolica. Macron ha negato il patrocinio dell’Eliseo, prestando il fianco alle critiche di essere troppo influenzato dalle lobby del vino. La non-notizia consiste dunque nel fatto che questa campagna che vorrebbe sensibilizzare la coscienza civile sulle dipendenze da alcool, anche quest’anno non sia stata recepita ai massimi livelli istituzionali transalpini. Quindi, in pratica, nulla di nuovo, se non il diffondersi, a livello di main-stream, del tentativo di mettere in cattiva luce il consumo di vino e delle altre bevande alcoliche.

Il cosiddetto dry January

Questa consuetudine è partita, quasi casualmente, in Gran Bretagna. L’iniziativa di un’astinenza radicale, ma temporanea, dal consumo di bevande alcoliche, fu di una ragazza, Emily Robison, che nel 2011 aveva deciso di correre una gara podistica [qui il video dove racconta la sua vicenda]. Per prepararsi e affrontare meglio l’allenamento necessario, decise di rinunciare a bere alcool. Per varie circostanze, l’iniziativa venne assunta e amplificata da un’associazione di volontari contro l’alcolismo e contro le conseguenze di dipendenze dannose e gravi. L’intrecciarsi di motivazioni diverse, la concomitante attenzione ad aspetti medici, sociali e di costume, contribuì a diffondere questa bizzarra iniziativa. Con la sua solita tagliente ironia, Camillo Langone su Il Foglio scrive di un “gennaio analcolico partorito dalla mente di qualche moralista anglosferico e malvagio” (cf.qui).

la schermata iniziale del sito web alcohol change

Ne abbiamo davvero bisogno? E poi, da che pulpito viene la predica?

E’ vero che nel nord Europa la piaga dell’alcolismo grave è assai più diffusa, e che a livello sociale le agenzie governative sono molto sensibili su queste tematiche. Ma spesso si tratta di consumo davvero disordinato e pesante, nel quale incide molto la diffusione di super alcolici e cocktails. Fa tuttavia molta impressione, oltre che essere quasi paradossale, che proprio dalla penisola britannica si voglia diffondere alla Francia e in generale all’Europa tale iniziativa. Fra l’altro occorre dire che nemmeno la ricerca medico-scientifica è unanime nello stabilire una effettiva e reale utilità di un’astinenza temporanea così breve. Sembra, dicevamo, una curiosa incongruenza storica: i mercanti inglesi e il gusto britannico, popolare e aristocratico, sono i fattori che più hanno influito nella storia del vino in epoca moderna.

Il colpo di coda di un impero decadente?

Dal gusto secco dello champagne, al successo dei vini di Bordeaux; dai vini fortificati di Porto allo Sherry, dal Marsala ai vini della Loira, fino alla prima definizione del Chianti, sono davvero molteplici gli esempi di quanto Londra abbia plasmato il mercato dei vini per come li conosciamo oggi. Anche la capacità dei più diffusi contenitori vinari, la barrique e la bottiglia di vetro da 0,75 lt., è stata pensata per rendere facile il conteggio con le diverse unità di misura britanniche: 300 bottiglie corrispondono precisamente a 50 galloni imperiali inglesi. Chissà cosa penserebbe del dry January sir Francis Drake, il corsaro a servizio della Corona inglese, che con il suo galeone il 29 aprile 1587 attaccò la flotta spagnola nel porto di Cadice, riuscendo a razziare, portandoli poi a Londra, 2900 barili di sherry?

La risposta equilibrata della tradizione

Non serve ricordare che ci opponiamo con tutte le nostre forze alla piaga dell’alcolismo. Crediamo tuttavia che non sarà una nuova forma di proibizionismo o una sorta di ipocondrismo pseudo-salutista a contrastare efficacemente la dipendenza dall’alcool. Per di più, bisogna dirlo, chi in genere fa un uso smodato e pernicioso di bevande alcoliche, consuma prodotti di bassissima qualità. La nostra contro-proposta al gennaio analcolico non può non essere che una: auspicare l’affinamento del gusto, nella ricerca, nella condivisione e nel godimento di vini di qualità. Dunque, più vini sapiens per tutti! Se poi dobbiamo proprio dare qualche indicazione, per questo gennaio potrebbe essere ironico e divertente assaggiare etichette di stile pre-british (cf. qui)!

Sembrava non dovesse arrivare mai questo momento, e invece ci siamo.

L’ARSIAL, ente che promuove lo sviluppo e l’innovazione del sistema agricolo e agro-industriale del Lazio insieme al CREA, principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari, hanno organizzato una Masterclass gratuita dedicata ai vini sperimentali ottenuti dalla vinificazione di vitigni autoctoni e resistenti.

Titolo degli incontri è “La biodiversità incontra i vitigni resistenti”. La degustazione, in programma il 28 novembre e il 5 dicembre 2023 nelle sede Azienda Sperimentale Arsial di Velletri (RM), sarà divisa in due sessioni distinte, e condotta da tecnici Arsial e Crea/Ve (cf. qui il comunicato stampa ).

Tutti i vini sono ottenuti dalla vinificazione delle uve prodotte nel “Vigneto Biodioversità”, impiantato all’interno dell’azienda Arsial di Velletri. Le varietà resistenti impiegate per il taglio, nella misura massima del 15%, sono il Soreli per i bianchi, il Carbenet Volos e il Cabernet Eidos per i rossi.

 

 

Qualcosa si muove

Già lo scorso anno avevamo partecipato alla prima degustazione delle microvinificazioni di varietà resistenti realizzate dal Centro Enologico Sperimentale di Velletri. Per ora son 10 i vitigni ammessi alla coltivazione nella Regione Lazio: Fleurtai, Soreli, Sauvignon Kretos, Sauvignon Nepis, Sauvignon Rytos, i bianchi; e i rossi Julius, Cabernet Eidos, Cabernet Volos, Merlot Kanthus, Merlot Khorus. L’assaggio dei vini ottenuti dalle microvinificazioni aveva mostrato ottime speranze per l’avvenire.

 

 

Il nostro punto di vista

Ci rallegra molto che anche la Regione Lazio abbia aperto ai Piwi, soprattutto considerando le difficoltà incontrate, particolarmente in questa zona, in annate come quella appena trascorsa.  Certamente la messa a dimora di varietà resistenti è una risorsa strategica importante per una gestione sostenibile del vigneto. 

Ci auguriamo che i bravissimi produttori laziali sappiano presto trovare, al pari dei colleghi del nord Italia, le giuste chiavi interpretative per comunicare sempre più e sempre meglio la grande qualità che contraddistingue da secoli il vino di casa nostra. Attendiamo con impazienza il giorno in cui potremo introdurre nella carta di Vino Sapiens delle ottime etichette Laziali da varietà resistenti (nel frattempo, scarica la nostra piccola guida, qui.)

Ci congratuliamo, già da ora, per il lavoro di ricerca condotto fin qui dai protagonisti di questo settore. Ad astra!

 

Ho avuto l’occasione di partecipare ad una serata eccezionale, quelle di cui si potrà dire “io c’ero”: una verticale storica di trenta annate di un vino bianco: Terre Vineate, Cantina Palazzone. 

Del resto il produttore, Giovanni Dubini, è per me un riferimento da lungo tempo. 

Pensando a lui, mi viene spontaneo associarlo al tolkeniano Aragorn, nella sua veste di ramingo: Granpasso, colui che cammina velocemente con le sue lunghe gambe attraversando la terra di mezzo, da est a ovest. 

Sarà perché, come Aragorn, anche Giovanni Dubini cammina per il mondo intero. Cioè, per la verità pedala in giro per il mondo in sella alla sua mountain bike. O forse sarà per la sua figura alta e longilinea. 

Ma sospetto che soprattutto sia per l’incredibile capacità di dare nuova vita alla gloriosa dinastia dei vini di Orvieto, un territorio “vineato” quasi del tutto perduto nel corso della storia, che sembrava essere inesorabilmente giunta al suo declino. 

A cominciare dall’antica Locanda Palazzone – vedete che ho ragione, c’è perfino la locanda a suggellare il parallelismo con Aragorn –  Giovanni interpreta con rinnovato vigore e fierezza il suo territorio e ne racconta virtù e pregi attraverso gli incredibili vini che da esso trae. 

Credo sia questo particolare slancio, la fede che ha sempre riposto in questo luogo, il motivo che racchiude il mistero, il segreto della sua saggezza. Quasi ad essere una specie di mistico custode dell’Orvieto. 

È una persona davvero affabile Giovanni, ma è altresì discreto e di poche parole. Quelle che servono. I vini che fa, invece, hanno molto da dire.

 

Palazzone: il Campo del Guardiano

Questa cosa la so fin dal primo incontro e fin dal primo assaggio. È lui che mi ha fatto comprendere come mai i vini di Orvieto sono stati tra i più famosi al mondo. E non me l’ha spiegato a suon di parole. L’unica cosa che mi ha detto, lo ricordo ancora come fosse ieri, è stata: “Tieni, assaggia questo – versando il vino nel mio calice – Capito, sì?”. 

Incredibilmente… Sì, avevo capito! 

Più che al livello intellettivo, in quel momento avendolo assaggiato, assaporato, mi sembrava piuttosto di poter comprendere in maniera davvero molto misteriosa – ed era ancora dentro di me – la grandezza di un grande vino bianco. 

Non ne afferravo i termini, non ho nemmeno provato a definirla, ma intuivo di essere al cospetto di qualcosa di molto insolito, di molto diverso dalla maggior parte dei vini bianchi assaggiati fino a quel momento. Avevo trovato quel calice elegante, leggiadro, e allo stesso tempo di infinita eloquenza.

È un concetto difficile da definire quello di “grandezza” di un vino. Fino a pochi anni fa, spesso era sinonimo di potenza: profumi intensi e sfacciatamente penetranti, sapore deciso, corposo e pieno. Ma quel calice si presentò in maniera molto diversa dai grandi blasoni dell’orvietano e, più genericamente, dai soliti noti italiani e internazionali.

 

Cos’è mai questo vino?

Assaporare Campo del Guardiano ha acceso immediatamente in me desiderio e curiosità. Da un lato di conoscere questo affascinante territorio, la sua storia, la tradizione, la cultura, che quel bicchiere aveva iniziato a raccontarmi. Ma allo stesso tempo, desiderio e curiosità di conoscere vini bianchi autentici e di grande longevità. Perché l’etichetta che mi era stata offerta, non era dell’annata corrente. Aveva ben 5 anni di affinamento in bottiglia e all’epoca – parliamo ormai di 15 anni fa – era una situazione insolita da trovare. 

E nel mio cuore è sorta chiara, quasi fosse una necessità, la domanda: cos’è mai questo vino? 

Ripeto, non riuscivo ancora ad afferrare bene cosa stesse succedendo. Sapevo solamente di voler ripetere quell’esperienza, di volerne ancora.

Ci trovavamo al Salone delle Fontane, a Roma, durante una importante fiera di settore. Avevo terminato il corso per Sommelier da qualche tempo, quindi pensavo di essere super esperta e, per giunta, avevo alcune certezze nella vita. Una di queste era che il vino buono sapeva… di legno. Eh lo so, ma all’epoca era così. Quelli buoni odoravano di vaniglia, burro e boisé e al palato erano morbidi, rotondi e perfetti.

 

Lo stile autentico del Re fra tradizione e innovazione

Nel corso degli anni abbiamo avuto modo di conoscerci meglio con Re Giovanni, di passare qualche momento insieme. Il suo stile, nel vino come nella vita, segue sempre il tracciato dell’autenticità. Non è uomo di tanti fronzoli, è schietto nel trasmettere quello che pensa. È fortemente ancorato alle tradizioni del suo territorio intese come best practice trasmesse di generazione in generazione. 

E, come dire, si vede che fa parte di quelle persone che cercano di rimanere fedeli a loro stesse passando la vita alla scoperta della propria vocazione, del proprio posto nel mondo, sarà per questo che l’ha “pedalato” praticamente tutto. E così i suoi vini.  

Ciò si è reso evidente durante la degustazione del 5 maggio 2023, dove abbiamo potuto assaggiare tutto il lavoro svolto per trent’anni, un progetto portato avanti con convinzione e coraggio, necessari a destrutturare i suggerimenti del mainstream su come debba essere il vino e in particolare,  un grande vino bianco di Orvieto.

E – al pari tutti i tradizionalisti autentici – va da sé, Giovanni è anche un grande innovatore.

“La tecnologia ci permette di risolvere numerosi problemi. Noi qui la utilizziamo cercando di realizzare e mantenere sempre più integro il vino”. Con queste parole ha introdotto la magnifica serata celebrativa per i trent’anni dalla prima etichetta di uno dei suoi vini più rappresentativi: il Terre Vineate. 

Più tardi, dopo aver già assaggiato le prime cinque annate, gli ho chiesto cosa intendesse per “mantenere il vino integro attraverso la tecnologia”. Per conoscere la sua risposta guarda il video.

Giovanni cerca di realizzare un vino mantenendolo più integro possibile. Se hai guardato il video, hai certamente compreso come questa sensibilità si trasformi in concrete pratiche produttive come, nell’esempio citato da Giovanni, l’utilizzo del flottatore, un macchinario che permette l’illimpidimento per via meccanica anziché chimica, evitando quindi l’uso di bentonite o simili.

 

Custodire la personalità del vino. Un segreto.

In che modo si traduce tutto ciò nel calice? Cosa comporta avere questo approccio? Direi che un ottimo indicatore sia l’esito finale e cioè la qualità del vino e la sua capacità di attraversare il tempo, da una parte, e dall’altra la non omologazione, l’originalità intesa come unicità. Qualità e originalità del vino sono, secondo Giovanni Dubini, due elementi che derivano dal terroir, inteso come suolo, esposizione, clima, e dall’annata.

Non è possibile infatti avere ogni anno un vino identico alla sua edizione precedente: perché oltre che di un territorio specifico cui offre dimora, ogni etichetta è figlia della sua annata e anche di essa mostra i segni. 

Ebbene posso testimoniare che di quindici vintage di Terre Vineate, dalla più recente, la 2021, alla più antica, la 1993, tutte erano assolutamente vitali, senza alcun cedimento alla decadenza, men che meno all’appiattimento. Ognuna diversa dalle altre, con una propria personalità a raccontare le vicende e le avventure dell’annata da cui hanno tratto origine e quelle del territorio che le ha viste prender forma. È stato come ascoltare una cronistoria, leggere il diario segreto che ogni bottiglia aveva annotato. 

Per di più questo è accaduto non già per un vino concepito per l’evoluzione; Terre Vineate infatti nasce per la quotidianità. 

Appare dunque sempre più evidente che quando i produttori seguono la strada, seppur faticosa e incerta, della ricerca di autenticità – quasi come mantenersi fedeli a una promessa, quella di custodire il giardino, la nostra casa comune – questo fa la differenza. E nasce un sapore nuovo, autentico, non più edulcorato, che non scende a compromessi con ciò che chiede il mercato, e da cui deriva l’inevitabile omologazione.

Eccolo il segreto di Giovanni. È un segreto che accomuna tutti i bravi genitori, tutti i migliori educatori, tutte le persone intelligenti: lavorano per far crescere, traendo il meglio che ciò di cui si occupano abbia da offrire, preservandone ad ogni costo la vocazione, il desiderio profondo del cuore.

A Giovanni Dubini il merito di non essersi arreso di fronte alla sfida di credere nelle sue – è proprio il caso di dirlo – radici. Le etichette di Cantina Palazzone ci fanno ben comprendere come mai il vino di Orvieto è stato tra i più famosi al mondo.

Perché così è ogni grande vino: non solo da bere, ma da incontrare. Non da descrivere velocemente con tante parole, ma innanzitutto da ascoltare.

Scopri la selezione di Cantina Palazzone

TERRE VINEATE

CAMPO DEL GUARDIANO

MUFFA NOBILE

In un’epoca in cui l’attenzione per l’ambiente è al centro delle preoccupazioni globali, anche la wine industry è impegnata nella promozione di pratiche sempre più virtuose volte al migliore sviluppo possibile della sostenibilità in tutte le sue implicazioni.

Principio chiave nella viticoltura moderna, l’orientamento alla sostenibilità rappresenta l’impegno a produrre vino preservando le risorse naturali, proteggere l’ambiente e migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte nelle varie fasi del ciclo produttivo, e delle comunità ad esse collegate.

Inevitabilmente la coltivazione delle viti richiede l’uso di risorse quantomai preziose come acqua, terra e fertilizzanti, ma l’industria vinicola è determinata a ridurre il proprio impatto ambientale.

 

Vino sostenibile: una risposta dalla politica

Un grande lavoro è stato fatto in questa direzione anche al livello politico, si pensi ad esempio al European Green Deal (EGD) oppure al Piano d’Azione per la Transizione Energetica Sostenibile (PATRES) e alle molte altre iniziative degli ultimi anni. Su questa scia l’istituzione di Enti certificatori è stato sicuramente uno strumento utile per consentire alle aziende di dare compiutezza al loro impegno per la sostenibilità, ma anche per ottenere credibilità, differenziarsi, accedere a nuovi mercati e migliorare l’efficienza operativa. 

 

Certificazioni di Sostenibilità in Italia

In Italia, diversi Enti certificatori offrono programmi che si concentrano sulla sostenibilità nel settore vitivinicolo. Tra questi ricordiamo i principali:

 

Equalitas

Equalitas è la società proprietaria dello Standard originato da un progetto per la certificazione della sostenibilità in ambito vitivinicolo il cui varo, avvenuto nel 2015, ha rappresentato il punto di arrivo rispetto ad anni di esperienze e confronti con il mondo accademico, la ricerca e le imprese.” *

La certificazione Equalitas copre tutti gli aspetti della produzione vitivinicola, dall’impianto del vigneto alla commercializzazione del vino. Il sistema si basa su tre pilastri fondamentali:

 

Un approccio innovativo

Equalitas, sebbene relativamente giovane, ha già certificato circa 1.000 aziende vitivinicole italiane, riscontrando dunque un enorme successo tra i viticoltori. A differenza di altri standard di sostenibilità, il sistema di valutazione Equalitas è stato sviluppato da un gruppo di stakeholder dell’industria vinicola italiana, che ha l’obiettivo di aggregare le imprese per una visione omogenea e condivisa della sostenibilità integrando e sviluppando con particolare riguardo anche il concetto di qualità. 

La visione di base consiste nel ritenere che un’azienda debba saper “governare” la sostenibilità avendo come principale traguardo la migliore qualità vitivinicola possibile che è imprescindibile nella mission di un’azienda che produce vino e che deve essere implicito anche nel significato stesso di sostenibilità. 

Ogni realtà vitivinicola può aderire gradualmente allo standard Equalitas e si può ricevere la certificazione a livello di azienda e/o di prodotto o addirittura di Denominazione. Proprio questo approccio in costante evoluzione, sembrerebbe essere il potenziale asset strategico per diventare un punto di riferimento chiave volto a incrementare sempre più la sostenibilità nella viticoltura italiana.

 

Vantaggi Economici per le Imprese e l’Impegno dei Consumatori

La certificazione da parte degli Enti offre vantaggi, anche dal punto di vista economico, davvero significativi per le aziende vitivinicole. Essere in grado di dimostrare un impegno serio, attraverso iniziative volte a migliorare la sostenibilità complessiva e la qualità del prodotto, può infatti incrementare in termini concreti la competitività sul mercato e rafforzare l’immagine del brand presso i consumatori. 

Chi acquista vino, in Italia e all’estero, è sempre più attento alle questioni ambientali e sociali, e la certificazione di sostenibilità può influenzare positivamente le scelte. Fino a diventare addirittura il principale discrimine: i consumatori infatti, sono oggi sempre più informati e desiderano avere maggiore cognizione circa le pratiche aziendali utilizzate per produrre una bottiglia di vino. Si pensi ad esempio all’incremento della domanda di vini Bio degli ultimi vent’anni. 

Allo stesso modo la nuova generazione di winelovers si aspetta di ricevere dall’azienda vitivinicola rassicurazioni, non solo riguardo le best practice ambientali, ma anche ad esempio, sulle condizioni di lavoro che riserva ai suoi dipendenti e se esse siano adeguate o meno alla migliore qualità possibile di vita.

*Per approfondimenti puoi consultare il sito di Equalitas

È sorprendente l’approccio innovativo con cui un gruppo di ricercatori italiani sta riscrivendo le regole dell’agricoltura riguardo alla difesa del vigneto dalle malattie funginee. Una vera e propria rivoluzione sostenibile portata avanti da Grape4vine.

Grape4vine: una Battaglia Contro le Malattie Fungine

I viticoltori di tutto il mondo sanno che proteggere le viti dai dannosi patogeni fungini come la Peronospora e la Botrite è essenziale per garantire un buon raccolto. Attualmente, la gestione di queste malattie richiede l’uso frequente di prodotti chimici, che rischiano di avere impatti negativi sull’ambiente e sulla salute umana. In media, un’azienda vinicola effettua tra 10 e 15 trattamenti l’anno con prodotti potenzialmente inquinanti, e ciò per di più comporta costi significativi, oltre a un importante consumo di acqua.

Molto è stato fatto fin qui grazie alla ricerca e all’esperienza sul campo, ma annate piovose come quella appena trascorsa e in generale l’attuale instabilità climatica, ci mettono davanti uno scenario davvero poco confortante. 

L’esito delle sfide legate alle malattie della vite sta tuttavia prendendo una nuova svolta grazie a Grape4vine, un ambizioso progetto di ricerca condotto in Italia. L’Università degli Studi di Milano e il CREA (Centro di Ricerca per la Viticoltura e l’Enologia) di Conegliano collaborano a questo progetto che promette di rivoluzionare l’industria vinicola, offrendo soluzioni innovative per proteggere le viti dai patogeni fungini per di più utilizzando sistemi sostenibili e rigenerativi.

Una Visione per la Sostenibilità

Il team di ricercatori di Grape4vine affronta queste sfide attraverso una strategia che punta su tre ambiti di sviluppo:

1. La valorizzazione dei Sottoprodotti: Durante la produzione del vino, vengono creati elementi di scarto come vinacce e sarmenti, spesso considerati rifiuti da smaltire. Tuttavia, nell’ottica di un’economia circolare, Grape4vine mira a trasformare questi sottoprodotti in risorse rigenerative, utilizzandoli come substrati per coltivare funghi, lieviti e piante i quali verranno usati, come vedremo, per produrre dsRNA.

2. L’utilizzo del dsRNA: Il cuore del progetto risiede nell’uso innovativo dell’RNA a doppio filamento (dsRNA). Queste molecole speciali possono essere utilizzate per “silenziare” temporaneamente geni specifici nei patogeni fungini o nelle piante, impedendo lo sviluppo delle malattie. È una strategia di gestione genetica su misura per contrastare gli agenti dannosi.

3. L’applicazione sul Campo: Grape4vine sta sviluppando un metodo di applicazione dei dsRNA tramite spruzzatura sul fogliame delle piante.

Attualmente l’efficacia del trattamento “spray” dura alcune settimane e richiede periodiche ripetizioni. Tuttavia rappresenta un’alternativa dal potenziale enorme rispetto agli attuali sistemi di protezione del vigneto.

Un Passo verso la Sostenibilità Ambientale

Questo approccio innovativo non si limita solo alla difesa delle viti ma considera anche l’ambiente, la società e l’economia. Le valutazioni del progetto includono aspetti economici e sociali. L’obiettivo è rendere la produzione di vino più “eco-logica“, proteggendo le piante dai patogeni senza l’uso di prodotti chimici dannosi e sfruttando in modo efficiente i sottoprodotti, verso una viticoltura globalmente più sostenibile. 

Questa innovativa gestione genetica delle viti non solo protegge le piante dai patogeni senza l’uso di prodotti chimici dannosi, ma ha anche un impatto positivo sull’ambiente. Riducendo la necessità di trattamenti chimici, si riducono gli effetti collaterali negativi sulla salute umana e sulla biodiversità. Inoltre, Grape4vine promuove una visione di economia circolare, utilizzando sottoprodotti dell’industria vinicola per coltivare funghi, lieviti e piante.

Il Futuro della Viticoltura

Il progetto Grape4vine sta aprendo la strada a una nuova era della viticoltura, ponendo la  scienza al servizio della sostenibilità. La gestione genetica delle viti potrebbe rappresentare un modello per affrontare le nuove sfide cui è chiamata l’agricoltura in tutto il mondo, offrendo soluzioni efficaci e rispettose dell’ambiente per la protezione delle coltivazioni.

Mentre il progetto Grape4vine prosegue con successo, il settore vinicolo guarda con entusiasmo a un futuro in cui la scienza e la responsabilità ambientale si fondono per preservare la bellezza e la sostenibilità dei vigneti.

 

Per saperne di più visita il sito Grape4vine