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Un “distillato” di conoscenze per un’autentica esagerazione

Chi non prova un certo sospetto nei confronti di qualcosa che sia definito come paradosso o paradossale? Eppure, l’etimologia di per sé non ha alcun senso negativo: “asserzione contraria all’opinione generalmente accettata come vera”. Ossia, si intende che a margine dell’opinione comune, possa esserci l’intuizione e la visione di un genio, che non si accontenti di abitudini ripetitive e che conduca a conquiste culturali innovative. Esso, il paradosso, spiazza false certezze e sbaraglia lo stanco e consueto standard. La nuova realtà non esisteva prima magari solo perché nessuno l’aveva mai immaginata.

Eppure, un vino definito paradossale non smette di far pensare ad un produttore eccentrico e fantasioso, bizzarro e sregolato. Ma nel nostro caso è tutto il contrario. Non avevo mai sentito un vignaiolo che mi abbia confidato, come fece Mario Pojer qualche anno fa, di tenersi aggiornato, leggendosi tutte le tesi di laurea in enologia che venivano discusse a San Michele, dove fu alunno pure lui. Tantomeno, non ho mai visto raccolte e riutilizzate le più varie tradizioni e invenzioni enologiche di tutto il mondo, come nella gamma della cantina di Faedo.

Dalla fortificazione del vino al miglioramento genetico della vite, dalle macerazioni prolungate al controllo di atmosfera e temperatura in fermentazione, dalla tradizione del vin de reserve alla vendemmia tardiva botritizzata, non c’è eccellenza che Pojer e Sandri non abbiano studiato e “rubato” dai migliori, in ogni parte del mondo. Da esperti distillatori quali sono, hanno imparato davvero bene l’arte di “lambiccare” e rendere utile ogni informazione raccolta dalle più vaste esperienze enologiche.

Il sogno piano piano prende forma

La curiosità e il desiderio di apprendere e reinventare è parte del loro carattere intraprendente, ma si sono in verità alimentate di un sogno antico. Un’intuizione iniziale, forse romantica, seguita da anni ed anni di ricerca e sperimentazione.

Produrre un vino solamente frutto dell’uva, senza sostanze esogene ed additivi di sorta.

Può essere una battuta. Eppure, se si ha la pazienza, e il fegato, di documentarsi sulle sostanze lecite e permesse nella vinificazione, anche quella di vini che amano definirsi biologici, si smette immediatamente di scherzare! Acidi di varia composizione, albumina d’uovo, colla di pesce, gomma arabica, gelatine, chips di legno, bentonite, enzimi, liofilizzati…., chi più ne ha, più ne metta.

Di vendemmia in vendemmia, nella cantina di Faedo sono state invece messe a punto tecniche e accorgimenti per arrivare ad una vinificazione pulita e non invasiva. Lavaggio delle uve, raffreddamento dei grappoli, pressatura in assenza di ossigeno… e tanti altri brevetti tecnici, hanno consentito a Mario e Fiorentino di arrivare ad un sostanziale azzeramento degli interventi chimici nella vinificazione. Avviene senza cosmesi e ritocchi, seppur con un’attenzione altissima alla qualità e alla tecnica.

Un vitigno modernissimo…

Rimaneva lo scoglio dei trattamenti in campagna. Ma le buone pratiche e le buone amicizie vengono in aiuto.

Da buoni bevitori, infatti, gli aggiornamenti per Pojer e Sandri sono anche le bottiglie che amici e colleghi portano loro in assaggio. Così, tramite Rudy Niedermayr, conoscono il solaris, varietà naturalmente resistente a peronospora e oidio. Ottenuta con incroci per impollinazione, è frutto di decenni di tentativi effettuati nel centro di ricerca di Friburgo (vedi qui per una descrizione più tecnica, o qui per una più ampia introduzione). Utilizzando alcune caratteristiche delle viti selvatiche di ascendenza asiatica ed americana (vitis amurensis, saperavi, labrusca), si possono ottenere uve con cui produrre un buon vino dal gusto europeo, risparmiando però le decine di passaggi in vigna con antiparassitari e anticriptogamici.

Dopo aver bene approfondito la questione, Mario e Fiorentino mettono a dimora queste viti in un terreno a 850 mt. di altitudine, in Val di Cembra. Dove la naturalità dell’evitato impiego di fitosanitari viene amplificata dal fatto che il vigneto è circondato da boschi. Isolato quindi da altre colture, e pressoché incontaminato. Un piccolo problema, che non spaventa i due soci: allora il solaris non era autorizzato. Ma quando nel luglio del 2013 la varietà verrà ammessa in Trentino, Pojer e Sandri possono, dopo pochi mesi, fare la loro prima vendemmia.

 

…per un metodo ancestrale

Mario Pojer, il “Prof.” Vincenzo Venturelli ed il sottoscritto al mercato degli vignaioli FIVI (27/11/2021)

Per rimanere fedeli al loro sogno, studiano la migliore via di vinificazione di uve così particolari. Arriva l’idea è di recuperare l’antica tradizione del prosecco col fondo e la vinificazione del “vecchio” Lambrusco. In pratica si cercherà di sfruttare i lieviti non solo per il loro normale ruolo nella fermentazione, ma anche come agenti antiossidanti, quando ormai il vino sarà in bottiglia. I due trentini vanno a scuola dal “prof.” del Lambrusco di Sorbara, Vincenzo Venturelli e nasce quindi un vino non filtrato, frizzante, che termina la sua fermentazione in bottiglia, con tappo a corona. La sedimentazione dell’acido tartarico e dei lieviti esausti qui rimane in bella mostra grazie ad un vetro trasparente. Ed è giusto che sia evidente, visto che è proprio essa a svolgere la funzione che di consueto è compito della quantità di anidride solforosa aggiunta, qui – ça va sans dire – ridotta a zero!

La duplice veste dello Zero Infinito. Limpido, in mano a Fiorentino. E velato, con i lieviti in sospensione, nella bottiglia agitata da Mario.

I paradossi si moltiplicano

Per tornare a giocare con la paradossalità del nostro vino, un ultimo dettaglio. Nel vigneto di Grumes hanno selezionato naturalmente un lievito particolare, e con esso, in cantina, preparano una sorta di pied de cuve. Non il comune saccharomyces cerevisiae, ma il più raro e nobile saccharomyces paradoxus! Esso, oltre a lavorare meglio, apporta in dote sentori più fini e agrumati.

Saccharomyces paradoxus

Così lo Zero infinito ha un carattere paradossale già dall’inizio della sua vita, nella primissima fermentazione. Per poi permanere fino alla fine nella sua essenza ossimorica: nonostante si chiami Zero infinito, le bottiglie si esauriscono già pochi mesi dopo la loro uscita sul mercato, alla fine di marzo. 

Ma qui a Vinosapiens ormai lo sappiamo, e ne facciamo scorta! Almeno per ora, da noi, ancora non è finito!! Ma non ne abbiamo purtroppo così tante da permetterci di conservarne parecchie: perché sarebbe davvero interessante poter verificare fra qualche anno a che qualità il tempo potrà portare il vino. Chissà come sarebbe interessante una verticale di Zero Infinito!

Quasi quasi, invece di rilanciarle nello shop on line (qui), le bottiglie ce le teniamo tutte! Ecco, l’ultimo dei paradossi…