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David Landini ha un suo modo di vedere le cose.

Eravamo curiosi di conoscere l’artefice di questo vino così straordinario e misterioso. Così abbiamo deciso di aggiungere una tappa al nostro bellissimo viaggio già pieno di appuntamenti con vini e persone da incontrare e da ritrovare.  Sapevamo che sarebbe stata un’impresa tutt’altro che semplice. Ma l’attrazione e la curiosità erano troppe per non provare a cogliere l’occasione.

Era curioso anche lui, secondo me, di sapere chi fossero quei due squinternati che ti chiamano così all’ultimo momento durante un tragitto in macchina – direzione Puglia – con il vivavoce attivato per sbaglio e due ragazzini in sottofondo che cantano a squarciagola. Il vivavoce poi l’abbiam tolto, ma ormai era troppo tardi…

Lasciamo i bambini dai nonni e ci dirigiamo in quel di Pisa, Palaia, tra boschi fitti di querce e zone interamente dedicate alla lavorazione del tartufo.

Ci accolgono David insieme ad Alessia, la responsabile amministrativa, e ci introducono nella sala degustazioni dove avevano allestito uno spazio pieno di lavagne, matite colorate, fogli da disegno, piccoli sgabelli e giocattoli!

“Dove sono i bambini? Pensavo li avreste portati con voi!”. Eh sì, al telefono aveva sentito le loro voci, quindi ha pensato bene di preparare un’accoglienza su misura.

Perché David Landini ha un suo modo di vedere le cose! Il suo sguardo va oltre.

Lui conosce il mondo delle grandi aziende, di quelle più famose, perché ci ha lavorato come winemaker per tanti anni e tutt’oggi si occupa della direzione della ben nota Villa Saletta, in Toscana.

Ma David Landini ha un suo modo di vedere le cose: lui le vede con gli occhi dei suoi figli, che hanno provveduto personalmente alla prima “stesura” dell’etichetta del Viaggio di Landò. Poi il signor Sergio Staino ha fatto il resto, interpretando con il suo stile inconfondibile e con gli ormai celebri personaggi, Bobo e Bibi, il disegno dei bimbi di David, e cogliendo lo spirito fanciullesco e sognatore del loro papà: un uomo che ama le cose semplici, fatte con sapienza e cuore.

Così è il tempo di chi si accosta alla compagnia dei suoi vini: gioviale, saporito e appassionante. E durante tutto il viaggio, non importa quanto duri, continui a chiederti:  “ma come fa ad essere così buono?”.

Perché più che un vino è una pozione magica e giocosa.  Come quando i nonni incantano i bambini, accendendo i loro sguardi con le storie avvincenti di un’epoca che fu. Storie di un tempo antico che ti incatena al presente. Perché è lì che vorresti rimanere per sempre, ad ascoltare quelle avventure raccontate lentamente, da una voce calma e accogliente che non ha fretta di andar via.

E così David unisce saperi antichi e tecniche attuali, conducendo affabilmente coloro che vorranno percorrere insieme ai suoi vini una parte del loro viaggio.

Con qualche “fermata” nel suo mondo, un luogo dal sapore meraviglioso.

Il Viaggio di Landò – Prima Fermata è certamente tra i migliori vini rossi del nostro tempo.

Pochissime le bottiglie prodotte da David, circa 3.000, tutte numerate. Una vera rarità, difficilissimo da trovare anche negli scaffali delle enoteche più prestigiose.

A base di uve Canaiolo in purezza, vitigno storicamente utilizzato per contribuire al blend del Chianti, questo vino regala tantissime emozioni già al primo assaggio.

Sarà perché il vigneto ha novant’anni, e quando una vite raggiunge quell’età produce pochissima uva, ma di qualità eccellente. O sarà perché David lo realizza con l’idea ben precisa di esaltare il terroir interpretandolo secondo la sua personalità, quella di un uomo appassionato e sapiente che sa unire tradizione e innovazione. O probabilmente tutti questi elementi insieme sono gli ingredienti della magia del Viaggio di Landò – Prima Fermata.

Al calice si presenta di un meraviglioso color rubino. Il bouquet olfattivo è ampio, con note di frutti rossi e fiori che cedono il passo, dopo qualche oscillazione del calice, ai sentori di macchia mediterranea, con un  bel parterre di erbe aromatiche. Al palato è goloso e franco, colpisce il tannino setoso ed estremamente elegante, che accompagna perfettamente la salivazione indotta dai sali minerali. Ottima corrispondenza gusto-olfattiva, sembra a tratti di mangiare delle ciliegie appena colte.

L’aspetto che più di tutti lo rende grande è che, proprio come accade con le persone di ampio spessore culturale, che riescono a esprimere riflessioni e pensieri complessi con concetti e parole semplici, così questo vino sa trasmettere tutta la sua levatura traducendola in una estrema facilità di beva: nonostante l’enorme ricchezza, non stanca mai.

Un vino generoso, capace di donare tanta gioia.

Da abbinare alla compagnia di persone care, ma sta molto bene anche con salumi e formaggi di media stagionatura. Perfetto con l’agnello porchettato.

Perché David Landini… ha un suo modo di vedere le cose.

E a noi è piaciuto tanto il suo punto di vista.

Il Viaggio di Landò – Prima Fermata

Un abbinamento da Sapiens

E’ indubitabile che per festeggiare un incontro o sottolineare e la piacevolezza dello stare insieme sia quasi immediato pensare ad uno champagne. Senza nulla togliere all’effettiva qualità e al valore simbolico del più celebre spumante francese, ci permettiamo di suggerire altrimenti (qualcosa sulla nostra idea di abbinamento si può leggere qui).

I motivi che ci fanno uscire, per così dire, fuori dal classico “ostriche e champagne” sono tre:

1. Il vino che abbiamo in mente è in se stesso un incontro e un matrimonio d’amore;
2. Questo incontro poi si “sposa” assai felicemente con un altro elemento tipico della giornata degli innamorati, ossia il cioccolato;
3. Infine si tratta di un vino che è dolce, ma non stucchevole. Molto morbido, ma fragrante al tempo stesso.
4. Questo quarto punto è un Bonus, perché è ora che lo sappiate: l’abbinamento ostriche e champagne è terribile! Qualcuno doveva dirlo.

Meglio champagne e foie gras. Per le ostriche invece, vi suggeriamo di aggiungere una goccia di Vernaccia di Oristano Doc. Ma questa è un’altra storia…

Oggi vogliamo parlarvi di un grande vino prodotto dai nostri cari amici Mario Pojer e Fiorentino Sandri che si chiama Merlino, perché è magico davvero (cf. qui).

Solo poche settimane fa il nostro ultimo incontro con Mario!

Un’idea che viene da lontano

Il più grande problema dell’enologia dei secoli anteriori a Pasteur e alla moderna tecnologia di vinificazione era quello di conservare il vino. Uno dei rimedi più efficaci, scoperto a metà del XIII secolo, fu quello di aggiungere al vino altro alcool, per impedire fermentazioni e acetificazioni indesiderate.

Oggi sappiamo il perché di questa tecnica: con un elevato grado alcolico, i lieviti fermentativi muoiono; e se l’alcool viene aggiunto a fermentazione non completa, rimarrà nel vino un residuo zuccherino, che manterrà quindi un gusto dolce al liquido. Questa in sostanza è l’idea che soggiace al Porto, forse il più conosciuto al mondo fra i vini cosiddetti fortificati.

O, per chi preferisce il lessico alla francese, vini mutizzati. I cugini d’oltralpe infatti, con il loro consueto estro comunicativo, chiamano l’aggiunta di acool mutage, mutizzazione, giocando sul fatto che con il conseguente aumento di gradazione alcolica cessa il ribollire gorgogliante del mosto in fermentazione.

Un pò di Porto in Trentino

Dai loro viaggi di studio e confronto, in zone e cantine celebri, Mario Pojer  e Fiorentino Sandri riportano sempre idee e fermenti. Fin da subito virtuosi distillatori – celebre è l’aneddoto che racconta come la guardia di finanza scoprì la grappa clandestina che il giovane Fiorentino Sandri distillava a casa -,  ebbero l’intuizione di usare il loro brandy per fortificare uno dei vini che producevano.

Così divennero l’unica azienda italiana che produceva in proprio i due elementi che formano un vino fortificato (convinti fautori di collaborazione e associazione, si distinguono anche per il contributo al risveglio della sensibilità per la produzione italiana del distillato: cf. qui ). Il controllo della qualità è pertanto assicurato e gli standard produttivi non si abbassano mai.

Rispetto al celebre Porto, la via della fortificazione è gestita in modo un pochino diverso. Se sulle rive del Douro lo stile ossidativo è piuttosto marcato, e famosi sono i Vintage, con lunghi affinamenti in bottiglia, a Faedo è solo il brandy ad essere lungamente invecchiato.

Il risultato è un’incredibile miscela di sentori. Proprio dal lungo affinamento in botte, del brandy sono il profumo di cacao, di vaniglia, di spezie. Dall’altra parte, i sentori fruttati di ciliegia e di marasca fanno parte del tipico “corredo” del lagrein, che conserva – all’interno del prodotto finale – tutta la sua fragrante freschezza.

Anche ai nostri piccoli piace l’uva di Pojer&Sandri. Qui siamo nei loro vigneti in Val di Cembra, a Maso Besleri.

Due componenti fusi insieme

Per distillare il brandy, si parte da una base che di fatto è una porzione del vino che verrà poi usato per le basi spumante dell’Azienda. Quindi una particolare spremitura da uve chardonnay, pinot nero e pinot bianco. Inutile dire che la qualità è alla base! Per non parlare dell’esperienza e delle innovazioni nel processo di distillazione in quel di Faedo! Basti ricordare che il liquido alcolico affina almeno 10 anni in botte, poi un altro periodo in acciaio.

L’assemblaggio con il lagrein avviene quando il mosto in fermentazione arriva intorno ai 4 gradi alcolici. La percentuale di brandy che si aggiunge al lagrein arriverà a circa il 30-40 % della porzione totale. Una volta assemblati, ai due liquidi si lascia ancora del tempo per amalgamarsi meglio, nella quiete silenziosa delle botti dove era stato ad affinare il brandy.

Una sorta di luna di miele, in cui il brandy porta il lagrein a conoscere i luoghi dove lui è maturato.
Solo quando i due hanno avuto modo di fondersi insieme, esaltando l’uno le caratteristiche dell’altro, il Merlino viene imbottigliato. Un’altro colpo di genio: indicare in etichetta le due annate: ad esempio, sulla bottiglia che è uscita sul mercato nel 2021, la vendemmia del brandy è quella del 2005 e quella del lagrein è la 2018.

 

Una foto di qualche anno fa, sulla strada che da Faedo scende in val d’Adige, con un panorama incredibile sull’imbocco della Val di Non

 

Un caleidoscopio di sensazioni, da completare con un ultima gioia

Un vino unico e armonico, in cui solo la forzatura di un esame organolettico da professionista scomporrà i vari elementi. La magia del Merlino consiste proprio in un’equilibrata complementarietà. La dolcezza portata dagli zuccheri residui nel mosto “mutizzato” è bilanciata dalla freschezza del brandy.

Un vino dolce ma non sdolcinato, quindi. Il tannino, comunque presente nel lagrein, è ammansito dalla morbidezza della componente alcolica. Una struttura importante e un corpo di tutto rispetto, allegeriti però dai sentori e dagli aromi fini e delicati della frutta del lagrein.

Un connubbio che paradossalmente dà il meglio di sé aprendosi a stimolazioni sensoriali terze: in un palato intriso dall’untuosità del burro di cacao e già colpito dai tannini presenti nel cioccolato, non può avere piacevolmente spazio il sorso di un rosso qualunque. Occorre un vino duplice, che agisca sui due fronti, pur rimanendo sempre e armonicamente uno.

L’assaggio di cioccolato e di vino non provocherà una sensazione gustativa consequenziale, ma all’interno della bocca i due elementi potranno fondersi davvero, amplificandosi e raggiungendo un effetto di piacevolezza ineguagliabile.

 

Quando assaggiai per la prima volta un calice di Macchiarossa, ne rimasi immediatamente colpita.

Non sapevo nulla di quel vino. Non ne avevo mai sentito parlare.

Così accadde che una sera come le altre, durante la cena, mio marito mi avvicinò il suo calice chiedendomi di provare. Ne bevvi un piccolo sorso, distrattamente…

E allora, come sempre succede quando lo straordinario irrompe nella quotidianità, quel vino catturò la mia attenzione. In realtà quasi mi costrinse in maniera prepotente a rientrare dalla mia evasione alla realtà. No, dopo aver deglutito quel piccolo sorso non ero più distratta. 

Immediatamente tutti i miei sensi erano tesi, sveglissimi e in allerta. Quell’assaggio mi aveva reso nuovamente presente alla realtà. Intuivo che nell’aria, o forse meglio dire nel bicchiere, c’era qualcosa di molto importante. 

Così decisi di entrare in relazione con quel vino, di cui ancora non conoscevo nulla. 

Ebbene, pensai, presentiamoci!

Così iniziò un’avventura bellissima, che si rinnova anno dopo anno, alla scoperta della Tintilia del Molise del Signor Claudio Cipressi.

Stavamo partecipando ad una fiera di settore, in quella occasione avevamo deciso di concentrarci sull’approfondimento di un vitigno in particolare: il Viogner. E, come sempre, Marco aveva pianificato il percorso per poter degustare in maniera ordinata tutti i vini delle aziende più celebrate dalle guide importanti. E, come sempre, la pianificazione va bene finché non si intromette il destino con le sue occasioni.

 

Successe che man mano che ci addentravamo nella conoscenza di vini più che blasonati, iniziavamo anche ad essere stanchi di sapori “perfetti”. Lungi dal disprezzare le ottime etichette selezionate dai migliori Sommelier del mondo, ma era come se a quei vini mancasse… un po’ di cuore, o perlomeno, ad alcuni di essi, mancava il cuore. Elementi come giusta acidità, sapidità, glicerina, alcool, ecc., erano tutti presenti. Tutti nelle giuste dosi, senza squilibri, senza spigolosità. Impettiti e ben pettinati, pieni di sé. Gagliardi e meravigliosi, avvolgenti, con le caratteristiche giuste, che venivano fuori al momento giusto. Eppure…

 

Eppure, che noia! Tutti uguali, tutti fatti con lo stesso stampo. Ma sarà mai possibile che il vino sia solo una sommatoria di sali minerali e tannini vellutati? Volevamo capire se fosse tutta una questione di tecnica, di aggiustamenti e piccoli ritocchi, o se magari avremmo potuto trovare anche un po’ di personalità, di carattere, anche meno garbato, ma pur sempre autentico!

E così decidemmo di abbandonare la nostra pianificazione della giornata per addentrarci in territori misteriosi: i piccoli produttori che non erano presenti nelle guide.

 

                                                    

 

Oggi siamo abituati a sentir parlare di piccoli produttori, tutti i più sofisticati winelovers non cercano altro. Ma questa storia è di alcuni (anche un po’ più che alcuni) anni fa, quando le grandi aziende vitivinicole erano le uniche degne di nota. O meglio, le uniche in grado di comunicare al mondo la loro esistenza.

Ma torniamo a noi.

 

Allora iniziammo ad assaggiare i vini del “piccoli”, e immediatamente ci apparve evidente che di piccolo c’era solo il numero di ettari vitati di proprietà dei produttori, perché nella maggior parte dei casi le loro etichette erano davvero buone! 

Alcune più delle altre, e allora decidemmo di rivolgerci ai produttori che ci erano piaciuti di più. Eh sì, perché non ti innamori mai solo del vino, il pacchetto di solito comprende anche la persona che lo produce. Ed anzi, nella nostra piccola esperienza abbiamo potuto constatare che più il vino è buono, più la realtà personale o famigliare che c’è dietro è una realtà di spessore affascinante. Il vino e il suo produttore sono sempre, come dire, direttamente proporzionali.

 

I produttori che ci piacevano di più ci consigliavano altri produttori che piacevano a loro, e in questa girandola di piacevolezza abbiamo avuto la possibilità di incontrare tanti “piccoli” vigneron ispirati, geniali, alle volte anche un pelino folli, certamente pieni di amore ardente e viscerale per il vino, e per il loro vino. Oggi molti di loro sono delle vere celebrità. 

Perché è contagiosa la passione. E più la pratichi, più lei cresce.

La loro passione ha certamente accresciuto la nostra.

E niente…

Anzi, e tutto. Tutto ha avuto inizio dal desiderio di entrare in relazione con il vino. 

E, da allora, ogni cosa è cambiata.