In un’epoca in cui l’attenzione per l’ambiente è al centro delle preoccupazioni globali, anche la wine industry è impegnata nella promozione di pratiche sempre più virtuose volte al migliore sviluppo possibile della sostenibilità in tutte le sue implicazioni.
Principio chiave nella viticoltura moderna, l’orientamento alla sostenibilità rappresenta l’impegno a produrre vino preservando le risorse naturali, proteggere l’ambiente e migliorare la qualità della vita delle persone coinvolte nelle varie fasi del ciclo produttivo, e delle comunità ad esse collegate.
Inevitabilmente la coltivazione delle viti richiede l’uso di risorse quantomai preziose come acqua, terra e fertilizzanti, ma l’industria vinicola è determinata a ridurre il proprio impatto ambientale.
Un grande lavoro è stato fatto in questa direzione anche al livello politico, si pensi ad esempio al European Green Deal (EGD) oppure al Piano d’Azione per la Transizione Energetica Sostenibile (PATRES) e alle molte altre iniziative degli ultimi anni. Su questa scia l’istituzione di Enti certificatori è stato sicuramente uno strumento utile per consentire alle aziende di dare compiutezza al loro impegno per la sostenibilità, ma anche per ottenere credibilità, differenziarsi, accedere a nuovi mercati e migliorare l’efficienza operativa.
In Italia, diversi Enti certificatori offrono programmi che si concentrano sulla sostenibilità nel settore vitivinicolo. Tra questi ricordiamo i principali:
“Equalitas è la società proprietaria dello Standard originato da un progetto per la certificazione della sostenibilità in ambito vitivinicolo il cui varo, avvenuto nel 2015, ha rappresentato il punto di arrivo rispetto ad anni di esperienze e confronti con il mondo accademico, la ricerca e le imprese.” *
La certificazione Equalitas copre tutti gli aspetti della produzione vitivinicola, dall’impianto del vigneto alla commercializzazione del vino. Il sistema si basa su tre pilastri fondamentali:
Equalitas, sebbene relativamente giovane, ha già certificato circa 1.000 aziende vitivinicole italiane, riscontrando dunque un enorme successo tra i viticoltori. A differenza di altri standard di sostenibilità, il sistema di valutazione Equalitas è stato sviluppato da un gruppo di stakeholder dell’industria vinicola italiana, che ha l’obiettivo di aggregare le imprese per una visione omogenea e condivisa della sostenibilità integrando e sviluppando con particolare riguardo anche il concetto di qualità.
La visione di base consiste nel ritenere che un’azienda debba saper “governare” la sostenibilità avendo come principale traguardo la migliore qualità vitivinicola possibile che è imprescindibile nella mission di un’azienda che produce vino e che deve essere implicito anche nel significato stesso di sostenibilità.
Ogni realtà vitivinicola può aderire gradualmente allo standard Equalitas e si può ricevere la certificazione a livello di azienda e/o di prodotto o addirittura di Denominazione. Proprio questo approccio in costante evoluzione, sembrerebbe essere il potenziale asset strategico per diventare un punto di riferimento chiave volto a incrementare sempre più la sostenibilità nella viticoltura italiana.
La certificazione da parte degli Enti offre vantaggi, anche dal punto di vista economico, davvero significativi per le aziende vitivinicole. Essere in grado di dimostrare un impegno serio, attraverso iniziative volte a migliorare la sostenibilità complessiva e la qualità del prodotto, può infatti incrementare in termini concreti la competitività sul mercato e rafforzare l’immagine del brand presso i consumatori.
Chi acquista vino, in Italia e all’estero, è sempre più attento alle questioni ambientali e sociali, e la certificazione di sostenibilità può influenzare positivamente le scelte. Fino a diventare addirittura il principale discrimine: i consumatori infatti, sono oggi sempre più informati e desiderano avere maggiore cognizione circa le pratiche aziendali utilizzate per produrre una bottiglia di vino. Si pensi ad esempio all’incremento della domanda di vini Bio degli ultimi vent’anni.
Allo stesso modo la nuova generazione di winelovers si aspetta di ricevere dall’azienda vitivinicola rassicurazioni, non solo riguardo le best practice ambientali, ma anche ad esempio, sulle condizioni di lavoro che riserva ai suoi dipendenti e se esse siano adeguate o meno alla migliore qualità possibile di vita.
*Per approfondimenti puoi consultare il sito di Equalitas
«…”Noi, quelli che ci ostiniamo a fare questo vino, lottiamo tutti gli anni contro due geli. Si vendemmia, a volte, dopo la prima neve. E, a volte, nevica, o addirittura gela, quando già le prime gemme sono spuntate. Ma non crede che proprio da questa lotta, da questo rischio, da tutte queste difficoltà si sprigioni il sapore, unico e sovrano, di questo vino? Così, a volte, con le sofferenze, un uomo si affina…se riesce a superarle senza inacidirsi…” Umanità del vino!»
M. Soldati, Vino al vino. Viaggio alla ricerca dei vini genuini, rist. Milano 2006, 189.
Queste parole pronunciate, nell’autunno del 1968, dall’abbé Bougeat, e riportate da Mario Soldati nel racconto del suo viaggio in Val d’Aosta, ci impressionano e suscitano, rileggendole, emozioni e ricordi vivissimi.
La prima, e finora purtroppo unica, occasione in cui siamo stati a Morgex è stata nel luglio del 2017. Un anno eccezionale, ma non in senso positivo: abbiamo ancora ben presenti i momenti in cui, inerpicandoci fra i vigneti così caratteristici, sentivamo le grida dei vignaioli che ci chiamavano per mostrarci qualche piccolo grappolo di prié blanc: si trattava – purtroppo – di un’assoluta rarità. Quell’anno le viti produssero il 95% in meno! La notte fra il 19 e il 20 di aprile il “secondo gelo” compromise del tutto, o quasi il raccolto, così che, di fatto, dalla vendemmia 2017 di bianco di Morgex e La Salle ne è stato prodotto solo pochissimo
. Nell’edizione 2018 del Vinitaly, tentammo invano di ritrovare qualche produttore: allo stand istituzionale della DOC Valle d’Aosta ci dissero mestamente che dalla Valdigne quell’anno non era venuto nessuno.
Lo scoprimmo in una manifestazione a Siena, il prié blanc, nelle varie declinazioni che la cantina sociale Cave Mont Blanc presentava. Per inciso, questa cantina nasce sulle basi di una precedente associazione di viticoltori di Morgex e La Salle ideata e sostenuta proprio da quel Bougeat, che fu parroco del paese fino al 1971.
Dall’assaggio dei vini e dal breve colloquio con il presidente della cooperativa, nacque subito un desiderio di conoscere di più quel vitigno, ed accettammo senza indugio l’invito di partecipare ad un’insolita manifestazione organizzata a Morgex: la Toupie gourmanda, la pergola golosa, in valdostano:
una camminata o, meglio, una scarpinata fra le basse pergole delle viti e i terrazzamenti, inframmezzata da degustazioni – nei pressi di capanni e casupole dei diversi vigneti -, di cibi locali e tipici preparati da magnifici Chef, in abbinamento a calici dei vari produttori.
Così la terza domenica di luglio passammo una giornata immersi in un’atmosfera familiare e divertente. Se da una parte si avvertiva la preoccupazione e una velata tristezza per un’annata che si annunciava davvero pessima, dall’altra si percepiva l’unione e la determinazione dei follemente ostinati viticoltori di Morgex:
abituati alle asprezze della vita montanara, temperano la dura precarietà e l’incertezza delle vendemmie con una vera dimensione familiare delle aziende, nelle quali la viticoltura non è quasi mai l’unica attività.
La stessa conformazione della pergola, assai più bassa del consueto, sostenuta da una sorta di colonnine in pietra locale, adatta a reggere anche la spessa coltre della neve, esprime qualcosa della gente del posto. Sostengono i pesi della vita.
Ma lo fanno con la leggerezza dei fanciulli: in quei luoghi, scolpiti tanto dalla natura quanto dalla fatica appassionata dell’uomo, si muovono meglio i bambini.
La breve distanza fra la terra e la parte aerea della pergola deve essere ridotta perché la vite possa assorbire tutto il calore possibile anche dal suolo: così, mentre un adulto deve lavorare scomodamente, i piccoli sono privilegiati e portano la loro allegria nella durezza del lavoro in vigna.
Ma non si vuole descrivere un clima e un’atmosfera alla “Heidi”: qui le tecniche enologiche sono all’avanguardia, e l’ossequio rispettoso alle tradizioni non impedisce novità coraggiose. Introduciamo così due cantine, che ci sono parse fra le più rappresentative della zona.
La prima, già menzionata: Cave Mont Blanc, cooperativa di un’ottantina di soci viticoltori, che prima delle altre si è impegnata nella spumantizzazione del prié blanc, con ottimo successo: la grande acidità dei mosti da questa uva ne fa grandissime basi basi spumanti. Ma anche i fermi non sono da meno, con una verticalità impressionante: si tratta di vini delicati e sottili, con profumi mai esagerati.
L’altra cantina che ci permettiamo di segnalare è quella di Ermes Pavese e della sua famiglia, frizzante e colorita, come le sue etichette.
Oltre ad una linea, per così dire, tradizionale, Ermes è il primo e unico ad aver tentato la fermentazione e l’affinamento in legno: non insegue nessun modello in voga, non è un vino caricaturale, è un prié blanc, ma dalla fantasia anarchica della famiglia Pavese era naturale aspettarsi una vinificazione inconsueta ed originale.
A noi è piaciuto moltissimo; che pure Ermes ne sia molto soddisfatto ne è prova che al vino ha dato il nome del figlio, Nathan. Anche gli spumanti sono degni di nota, per il lungo affinamento e per la capacità di mantenersi freschi e vivi per parecchi anni.
I sentori di polvere pirica, agrumi, poi fiori bianchi e fieno sono ben presenti, ma, poco dopo, tutto si sintetizza – al chiudere gli occhi – nella sensazione di trovarsi in una malga alpina. Anche i vini fermi della linea base, se si riesce ad attendere qualche anno prima di stapparli, sviluppano corredi aromatici sorprendenti, che vanno da un’insolita pesca tabacchiera, alla gomma e poi allo smalto.
Per concludere: la sottozona più alta d’Europa (alla DOC Valle d’Aosta viene aggiunta la menzione Blanc de Morgex et de La Salle); vigneti a piede franco – e ciò significa che la vite conserva in sé stessa inalterata la memoria di secoli di vita, di adattamento, di evoluzione, di interconnessione con l’ambiente circostante; ed, infine, non solo tipicità ma, ancor di più radicalmente, unicità. Solamente qui viene vinificato il prié blanc. E’ vero che si ha traccia di qualche ceppo lungo la Valle d’Aosta, eppure a fondo valle i grappoli magari sì arrivano a maturità fenolica, ma non a quella tecnologica: ossia gli acini sono dolci da mangiare, ma non sono adatti a diventare vino. Il Blanc de Morgex et de La Salle, solo a Morgex e a La Salle si può fare!
L’unico peccato è che nel resto d’Italia non capita spesso di trovare tali bottiglie. Per questo, e per tanto altro, ripartiremmo oggi stesso per la Valdigne.